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Abbiamo un cervello quantistico?

Il quantum computing è una delle frontiere più avanzate della moderna informatica e, pur essendo ancora relativamente agli inizi (il primo prototipo di computer quantistico è del 1998, ma la ricerca non è stata costante nel tempo e solo negli ultimi anni si è ripresa, alimentata anche dai soliti noti del settore hi tech), il potenziale è enorme, come ogni volta che è introdotto un cambio di paradigma

Infatti, in questo caso, l’uso dei qubit come unità di informazione, sfruttando la loro strana caratteristica di poter essere, oltre che in uno stato “1” o “0”, come i bit, anche contemporaneamente “1” e “0”, uno stato chiamato sovrapposizione coerente, permette non solo performance superiori di ordini di grandezza ma anche il poter approcciare problemi che un computer attuale, per quanto potente, non potrebbe affrontare.

Tra l’altro questo stato di sovrapposizione viene distrutto nel momento in cui lo si misura..benvenuti nel bizzarro mondo della fisica quantistica!

Mentalmente, ho sempre piazzato questi argomenti nel “cassetto” della fisica e dell’informatica, almeno fino a qualche giorno fa, in cui ho letto di un gruppo di ricercatori di Dublino (Trinity College Institute of Neuroscience) che affermano di aver ottenuto prove indiziarie che le nostre funzioni cerebrali cognitive, consapevolezza cosciente e memoria a breve termine sarebbero anch'esse soggette a processi quantistici.

Come sono arrivati a questa conclusione è molto interessante, perché hanno preso in prestito un approccio usato per ricerche molto diverse, ovvero la gravità quantistica e la prova dell’esistenza dei gravitoni, particelle elementari responsabili della trasmissione della forza di gravità che, per il momento, sono tangibili solo negli episodi di Star Trek.

In pratica sono partiti dal presupposto che se un sistema ignoto interagisce con processi quantistici noti, allora anch'esso è un sistema quantistico.

Utilizzando il liquido cerebrale come sistema noto e misurando lo "spin", una proprietà dei protoni in esso, che cambierebbe solo attraverso un processo quantistico (l’entanglement, un‘altra bizzarria della fisica quantistica), hanno potuto affermare che l’attività cerebrale ha creato dei segnali prima non rilevabili e, di conseguenza, ciò implicherebbe che sono di natura quantistica.

Si è ancora nel campo delle supposizioni ma se confermata questa notizia aprirebbe le porte ad una concezione delle neuroscienze decisamente rivoluzionaria.

Oltre al fatto in sé, vale secondo me anche sottolineare come spesso si raggiungano grandi scoperte attraverso una visione che non è confinata solo ad una disciplina.

C’è un processo particolare legato alle neuroscienze, nel campo dell’apprendimento e del problem solving, chiamato Effetto Einstellung, parola tedesca che sta per mindset, sotto l’effetto del quale ci si concentra nella risoluzione di un problema utilizzando sempre gli stessi schemi mentali (mindset per l’appunto), col risultato di prevenire la ricerca di approcci alternativi.

Ecco perché un team di lavoro in cui siano presenti competenze diverse, anche non vicine tra loro, può arrivare a risultati inaspettati.

E anche da soli, se “stacchiamo” da un’analisi razionale e lasciamo lavorare il cervello inconsciamente, spesso troviamo le risposte che cerchiamo.

In definitiva, quantistico o meno, il nostro cervello è davvero un supercomputer e ognuno di noi ha la possibilità di poterci accedere in ogni istante, qualcosa che non dovremmo dare così per scontato e che dovrebbe spingerci a prendercene cura e "alimentarlo" nel migliore dei modi perché chi siamo, cosa sappiamo fare e il potenziale che abbiamo è anche racchiuso in questo meraviglioso strumento.
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