"Come sarebbe a dire che il report non è pronto? Ti avevo chiesto di farlo due settimane fa!”
Sarebbe molto facile dare interamente la responsabilità a chi avrebbe dovuto eseguire il compito richiesto e, purtroppo, questo è un atteggiamento diffuso, che confonde la delega di una azione (“ti avevo chiesto di”) al trasferimento in toto della responsabilità del portarla a termine (“non è pronto?”), che invece rimane del richiedente.
Quindi che cosa avrebbe potuto fare il richiedente per evitare di arrivare a questo punto?
Una semplice azione: preoccuparsi dell’avanzamento con un follow-up, mirato a comprendere la situazione.
In latino ci sono due verbi differenti che evidenziano la finalità tra chiedere per sapere (quaĕrere) e chiedere per ottenere (petĕre) e trovo che sia un distinzione fondamentale.
In una richiesta di follow-up dovrebbe essere evidente che il fine è il primo, non il secondo e, come tale, dovrebbe essere articolata.
“Come sta procedendo il report?”, “Ti posso aiutare in qualche modo?” sono domande che hanno lo scopo non solo di avere un aggiornamento ma che trasmettono anche l’importanza del portarlo a termine, in maniera non direttiva ma non per questo meno efficace.
E lato ricevente?
Chi riceve il compito, dovrebbe comprendere che queste domande sono altrettanto utili, perché creano un'occasione di allineamento e di confronto.
Ancora meglio, sarebbe importante dare un aggiornamento spontaneamente, senza aspettare una richiesta diretta o che ci sia una criticità, azione non solo corretta operativamente ma anche per creare una situazione di fiducia reciproca.
Anche uno strumento può essere utile: l’atto stesso di aggiornare lo stato di un task su una board condivisa (qualcosa che molti fanno fatica a fare) è un momento importante, un'azione che comunica molto di più di quello che sembra, non vi pare?
Sarebbe molto facile dare interamente la responsabilità a chi avrebbe dovuto eseguire il compito richiesto e, purtroppo, questo è un atteggiamento diffuso, che confonde la delega di una azione (“ti avevo chiesto di”) al trasferimento in toto della responsabilità del portarla a termine (“non è pronto?”), che invece rimane del richiedente.
Quindi che cosa avrebbe potuto fare il richiedente per evitare di arrivare a questo punto?
Una semplice azione: preoccuparsi dell’avanzamento con un follow-up, mirato a comprendere la situazione.
In latino ci sono due verbi differenti che evidenziano la finalità tra chiedere per sapere (quaĕrere) e chiedere per ottenere (petĕre) e trovo che sia un distinzione fondamentale.
In una richiesta di follow-up dovrebbe essere evidente che il fine è il primo, non il secondo e, come tale, dovrebbe essere articolata.
“Come sta procedendo il report?”, “Ti posso aiutare in qualche modo?” sono domande che hanno lo scopo non solo di avere un aggiornamento ma che trasmettono anche l’importanza del portarlo a termine, in maniera non direttiva ma non per questo meno efficace.
E lato ricevente?
Chi riceve il compito, dovrebbe comprendere che queste domande sono altrettanto utili, perché creano un'occasione di allineamento e di confronto.
Ancora meglio, sarebbe importante dare un aggiornamento spontaneamente, senza aspettare una richiesta diretta o che ci sia una criticità, azione non solo corretta operativamente ma anche per creare una situazione di fiducia reciproca.
Anche uno strumento può essere utile: l’atto stesso di aggiornare lo stato di un task su una board condivisa (qualcosa che molti fanno fatica a fare) è un momento importante, un'azione che comunica molto di più di quello che sembra, non vi pare?
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Sono un Coach specializzato e IT Mentor, con 25 anni di esperienza nel settore IT. Se vuoi migliorare la parte Tech della tua Azienda o migliorare te stesso/a, sono qui per supportarti. Scopriamo insieme come
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