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Il fallimento di Google Stadia

Il cimitero di Google, ovvero il “non posto” in cui finiscono i progetti che Big G ha deciso di interrompere, che attualmente conta 275 voci (killedbygoogle.com), ha da poco ricevuto un nuovo arrivo e non si tratta di qualcosa da poco: il 18/01/23 cesserà di esistere Google Stadia, ovvero la scommessa fatta, tre anni fa, da parte del colosso di Mountain View di entrare nel settore dei videogame, più precisamente del cloud gaming, ovvero dare la possibilità di giocare videogiochi in streaming, senza quindi dover comprare l'hardware, PC o console, necessario per "far girare" i giochi.

Era dai tempi di Google+, il social network (qualcuno se lo ricorda? A me piaceva molto, era una ottima alternativa a Flickr per gli appassionati di fotografia), che non succedeva qualcosa di così eclatante.

Prima di esplorare qualche possibile causa, non si può non notare la modalità con cui questa decisione è stata gestita, che già di per sé è un fattore rilevante.

La notizia è arrivata infatti come un fulmine a ciel sereno e ha colpito tutti indistintamente: gli utenti del servizio, gli sviluppatori che erano in procinto di pubblicare nuovi giochi (caso eclatante, Bungie, che ha ribadito di non essere stata informata) e addirittura lo stesso personale di Google della divisione Stadia, avvertito pochi minuti prima(!) che la notizia fosse resa pubblica, in un meeting virtuale generale, ormai la prassi per annunciare questo genere di cose, da parte di Phil Harrison (Vice Presidente e General Manager di Stadia)

Hi everyone,

We’ll be having a Stadia team meeting today, September 29th at 8:30 AM PT to share some important updates with everyone.

Apologies for the short notice — we would appreciate it if you can please prioritise attending this meeting, or check in with your manager afterwards if you can’t make it. Details have been added to your calendars. This will be a virtual-only meeting, so please feel free to join from wherever you’re working today.

Best, Phil

Ma c’è stato anche un elemento positivo, ovvero la decisione di rimborsare tutti gli utenti per gli acquisti fatti sullo Store, anche dell'hardware, un’azione che crea un precedente degno di nota, sebbene la preoccupazione più grande di molti gamer sia stata quella di non perdere i salvataggi dei giochi, trasferendoli quindi su altri servizi.

Sembra una cosa da poco, ma si sta parlando di decine, centinaia di ore di gioco, fino a casi eclatanti come le seimila ore(!) di un utente passate sulla versione online di Red Dead Redemption 2.

Ma cosa è successo? Ripercorriamo i punti principali.

Google lancia il tutto a marzo 2019, con un keynote alla Game Developer Conference in cui il servizio viene presentato come un notevole passo in avanti, sia come bassa latenza per connessioni anche non performanti (10Mbs il limite minimo), sia per la potenza dei server di gaming dedicati, che potevano quindi consentire una esperienza di gioco superiore.

Un team interno dedicato, acquisizioni di studi di sviluppo, l’infrastruttura, le risorse economiche, il know how tecnologico, insomma sulla carta tutto quello che serve.

Ma ci sono anche elementi discutibili: il valore percepito al lancio, specie a livello di catalogo, con 22 titoli, solo pochi dei quali di rilievo e uno solo in esclusiva, è nettamente inferiore a quelli dei competitor, soprattutto rispetto al Game Pass di Microsoft, che è sconfinato, risultando il migliore in assoluto come value proposition.

Inoltre, il prezzo di acquisto dei giochi da far girare su Stadia era praticamente lo stesso degli store digitali, con la differenza che non avevi nulla “in locale” e, a livello di percezione del possesso, vuol dire tanto.

Il titolo di maggiore traino per Stadia è stato, nel 2020, Cyberpunk 2077, l’attesissimo RPG sviluppato da CD Projekt, che però ha avuto un lancio disastroso, essendo di fatto ingiocabile su console (al punto di essere stato ritirato dagli store digitali, qualcosa di mai avvenuto prima) mentre su PC e su Stadia era sicuramente fruibile ma il danno di immagine era troppo importante e, sicuramente, anche Stadia ne ha risentito.

Passano i mesi e il servizio non decolla: c’è qualche tentativo di rilancio, ma risulta evidente il fatto che Google non ci crede e inizia a smembrare i team interni di sviluppo, per poi arrivare alla decisione della chiusura definitiva e dei rimborsi.

Che dire, fa impressione vedere un big come Google fallire un progetto di tale entità ma, a posteriori, uno degli elementi è stato sicuramente il non posizionamento del brand nel settore.

Microsoft, Sony e NVIDIA (che è pioniera del cloud gaming con il servizio GeForce Now lanciato nel lontano 2015) hanno infatti tutti una storia e un peso nel settore del gaming...Google no e, secondo me, questo uno dei fattori che hanno penalizzato, già in partenza, Stadia.

Una ulteriore prova di questo assunto è il fatto che ci sia stato un altro big player che ha commesso lo stesso errore e, guarda caso, proprio un competitor di Google per la parte cloud, ovvero Amazon.

Amazon Games ha comprato Twitch, reclutato i migliori talenti, acquistato il CryEngine e affrontato la realizzazione di videogiochi esattamente come ha fatto Google, come un problema di ottimizzazione di risorse e talenti.

Ma non solo, anche con tutta la supponenza di poter diventare leader solo per il fatto di essere Amazon (o Google)

Bezos stesso ha dichiarato che l'obiettivo di vincere nel settore gaming era:

to build something “so mind-bogglingly awesome that there should be no doubt in anyone’s mind why they should use AWS

Ma sviluppare un videogioco, specie un titolo ad alto budget, è figlio anche di un processo creativo che ha nel disordine e nell'altissima imprevedibilità le sue basi, qualcosa che non si misura in Teraflop e che non si abbatte semplicemente aggiungendo più risorse.

Inoltre sia Amazon che Google hanno fatto un altro errore madornale: fare tutto per vendere il loro marchio, la loro infrastruttura, senza riflettere che a nessuno interessa giocare un gioco in 4K senza lag o con 10000 persone in contemporanea se manca un elemento fondamentale: essere fatto con la passione di persone per cui la tecnologia è un mezzo e non un fine.

Restano sul campo le vittime, ovvero gli studi e sviluppatori che pensavano di avere trovato nei giganti dell'IT una alternativa più sicura e remunerativa ad un mercato comunque estremamente duro come quello dei videogame e, invece, hanno subito gli errori di valutazione di poche persone che non sono mai appartenute a quel mondo.
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