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Energia, accettazione e paura

Condivido qualche riflessione frutto dell'esperienza degli ultimi mesi, in cui ho pienamente appreso quanto sia importante seguire la propria energia nel nostro quotidiano.
Jim Loher, famoso psicologo delle performance, nel libro The Power of Full Engagement, ipotizza quattro livelli di energia, una sorta di piramide:
  1. Energia fisica, quella che alimenta "il fare" e forma la base della piramide
  2. Energia emotiva, frutto dalle nostre emozioni, siano esse positive o negative
  3. Energia mentale, quella legata agli aspetti cognitivi
  4. Energia spirituale, ovvero l'avere uno scopo, l'allineamento con i propri valori, rappresentando il vertice della piramide
Letteralmente ogni azione può essere scomposta rispetto a questi livelli, per cui possiamo fare qualcosa di inteso a livello fisico ma che ci ripaga in energia emotiva e mentale, oppure consumare tanta energia emotiva, stando in quiete fisicamente.
Ecco perché sono assolutamente convinto che più di gestione del tempo, che poi, in realtà sottende sempre a delle priorità, sarebbe più efficace ragionare in termini di gestione dell'energia e di bilancio energetico.
Sotto questa ottica, attività come un sonnellino pomeridiano o fare una passeggiata, assumono una valenza diversa rispetto alla percezione di essere poco importanti e, quindi, sacrificabili.
Il motivo è semplice: nella piramide, i livelli sono collegati e si influenzano reciprocamente.
Se si lavora su un solo livello, a discapito degli altri, i risultati non saranno i migliori possibili, mentre è una visione sistemica che ci aiuta a fare in modo che tutti i livelli siano coerenti, intervenendo dove serve.
Ma succede anche che il bilancio energetico sia negativo e magari incominci a sentire una voce critica, che si insinua, continuando a ripeterti “non sei bravo abbastanza”, “non fai abbastanza” e alimenta il senso di colpa per non aver dato il massimo.
Ma la vita, almeno per me, non deve essere una performance continua.
Certo, impegnarsi con costanza e dedizione è fondamentale ma rimane il fatto che capiterà sicuramente un periodo in cui, malgrado tutto quello che mettiamo in campo (e tra l’altro, paradossalmente, il fatto di avere consapevolezza di tutti questi meccanismi alimenta ulteriormente il nostro senso di colpa) non otteniamo quello che vogliamo.
Cosa possiamo fare allora? La parola è accettazione, coltivando l' auto compassione invece che continuare a crogiolarci nel dubbio.
Avere compassione verso noi stessi porta infatti all'accettare che non si è perfetti, vedendo il proprio fallimento spesso come utile, consci del fatto che è proprio dagli errori che si impara maggiormente (a patto di avere piena consapevolezza di quello che si è sbagliato).
Possiamo lavorare su tre punti per sviluppare la compassione
  1. Essere gentili verso noi stessi
  2. Essere consapevoli del fatto che non siamo da soli, che tutti combattiamo le nostre battaglie e, a volte, le perdiamo
  3. Concentrarsi sul qui e ora, osservare anche qualcosa di negativo, senza negarlo, anzi considerarlo utile, per poi lasciarlo andare.
Ci sono poi pratiche che possiamo affiancare.
Meditare è una di queste, ci permette di ri-centrarti su noi stessi.
Scrivere è un’altra azione molto utile, che permette di rivolgerci a noi stessi con compassione e, nello stesso tempo, a "scaricare" quello che ci succede. Spesso, rileggendolo, appare meno grave di quando è ancora nella nostra mente.
Quando ci capita di avere una giornata no, accettiamolo, non sentiamoci in colpa, riprendiamo fiato, lavorando sui livelli energetici problematici.
Domani, come si dice, è un altro giorno.

La paura uccide la mente

Un paio di anni fa mi sono infortunato mentre sciavo, facendomi male al ginocchio.
Sono un principiante assoluto dello sci (ho iniziato da poco) e quindi è naturale cadere, ma in quel frangente è stato come se sapessi che sarebbe successo: ho affrontato, da solo, un particolare pendio, con una grossa insicurezza mentale - lo stesso pendio che avevo fatto senza problemi il giorno prima, seguito da un maestro.
Oggi, col senno di poi, mi chiedo: ho sbagliato a provare pur percependo fortemente la mia insicurezza oppure ho fatto bene, perché ho cercato di superare la mia paura e non importa se poi qualcosa è andato storto?
Non ho una risposta, probabilmente non ce n'è una giusta, ma so che la paura può essere un nemico potente, soprattutto quando si fa qualcosa che richiede di essere rilassati e sicuri di sé.
C'è uno passaggio fantastico, a questo proposito, tratto da Dune di Frank Herbert - uno dei miei libri preferiti in assoluto - la litania contro la paura:
Non devo aver paura.
La paura uccide la mente.
La paura è la piccola morte che porta alla distruzione totale.
Affronterò la mia paura, permetterò che passi oltre e mi attraversi.
E quando sarà passata, seguirò il suo percorso con il mio occhio interiore.
Dove è andata la paura non ci sarà nulla, rimarrò soltanto Io.
Quando si ha paura, improvvisamente non si è più in grado di compiere azioni di cui si è pienamente capaci.
Ma non si tratta solo di questo: a lungo termine, la paura agisce come voce interiore che sabota le nostre intenzioni di cambiamento, mantenendoci nella zona di comfort.
La paura può rovinare la nostra vita, sottilmente, giorno dopo giorno, mantenendo un lavoro che non ci piace o continuando a rimanere bloccati in una relazione piatta.
Ma la paura non è, in se stessa, qualcosa di negativo, anzi è un meccanismo ancestrale che ci ha permesso di continuare a esistere come specie: sono le azioni in sua risposta che ne definiscono l'utilità finale ed è qui che possiamo andare oltre il mero istinto.
Accettare una situazione di cui abbiamo paura è il primo passo per affrontarla e, come nella litania di Dune, lasciare che ci passi attraverso.
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